Tutto quello che devi sapere sul Change Management

 

 

 

    Le grandi dimissioni: come gestire il cambiamento culturale del mercato del lavoro in Italia

    lug 8, 2022 | Posted by Isabella Brusati

    Da un paio di anni negli Stati Uniti si parla del fenomeno delle Grand Resignations, le grandi dimissioni. L’Harvard Business Review riporta che i dipendenti nella fascia di età dai 30 ai 45 anni hanno registrato il più alto tasso di dimissioni, con un incremento di oltre il 20% tra il 2020 and 2021. Questo comporta la dipartita di risorse di talento che sono fondamentali per il successo e la performance aziendale. Per le risorse umane si pone una sfida importante: come trattenere questi talenti.

    Anche in Italia si è parlato di grandi dimissioni, ma si tratta di un fenomeno che caratterizza il mercato del lavoro anche nel nostro paese? La risposta è molto più complessa rispetto al panorama statunitense.

    Durante la XX Giornata della Formazione Manageriale dell’Associazione Italiana per la Formazione (Asfor) dedicate a “Relazioni, lavoro e apprendimento nel mondo cambiato” è stato sottolineato che quello che apparentemente sembrerebbe essere il fenomeno delle grandi dimissioni italiane spesso è legato ad alcune caratteristiche del mercato del lavoro nostrano. Infatti, molte delle persone che hanno lasciato l’azienda lo hanno fatto per motivi legati alla scadenza di un contratto a tempo determinato. Purtroppo, negli ultimi anni (indipendentemente dalla pandemia) in Italia si è ampliato il divario tra gli insiders (individui con contratto a tempo indeterminato, assunti tra gli anni 80 e 90) e gli outsiders (coloro i quali si trovano in una condizione di precarietà data dalla difficoltà di entrare nel mondo del lavoro con un contratto a tempo indeterminato).

    La situazione è esacerbata da una legislazione giuslavoristica ancora legata a modelli produttivi risalenti agli anni '70 e, negli ultimi due anni, dalla volatilità dei mercati determinata dalla pandemia Covid-19 e dalla guerra in Ucraina. Il famoso metalmeccanico Cipputi di Altan è una figura ormai quasi scomparsa, eppure il diritto del lavoro italiano è ancora ancorato su questo modello produttivo e sul “posto di lavoro a vita”. A molti dei nostri lettori verrà in mente il film di Checco Zalone “Quo Vado”, nel quale il protagonista affronta varie peripezie purché non lasciare il  tanto ambito posto fisso nella pubblica amministrazione. 

    Un altro elemento che caratterizza la situazione italiana è dato dalla inadeguatezza dei salari. Recenti ricerche mostrano che in Italia negli ultimi 20 anni i salari hanno registrato una riduzione del 2%, contro un incremento di oltre il 30% di Germania e Francia. Questo spesso porta ad un’emorragia di talenti che preferiscono emigrare all’estero in cerca di migliori opportunità di lavoro di qualità pagato ad un salario competitivo, che spesso non viene offerto nel nostro paese.

    L’Italia ha il tristissimo primato europeo dei Neet (“Not in education, employment or training”), ovvero nello stato di non lavoratore e non in formazione. Secondo l’Istat i 20-35 enni che nella penisola non lavorano né studiano sono quasi il 30%, contro una media UE del 17,6 per cento. Un dato sconcertante. Alcuni sostengono che il reddito di cittadinanza abbia esasperato questo problema, ma occorre chiedersi come sia possibile che a persone laureate vengano offerti tirocini con rimborso spese di 400 euro al mese per poter dare l’esame di stato per diventare avvocati o ingegneri. Questo è un problema di cultura che non valorizza le competenze; non sorprende che molti talenti non siano propensi ad accettare tali condizioni.

    L’Italia inoltre presenta il problema di un cuneo fiscale elevato. Aumentare la produttività di un individuo senza aumentare il salario - che va a riflettere le competenze ed esperienza dell’individuo - è irrealistico. Tuttavia, da un lato la contrattazione collettiva non riflette le esigenze di un mercato del lavoro che ha visto l’emergere di figure e competenze inesistenti solo 10/15 anni fa. I salari sono schiacciati verso il basso e raramente tengono conto delle competenze altamente qualificate dell’individuo. Dall’altro lato le aziende si trovano a dover gestire una situazione caratterizzata da mercati estremamente volatili (dal Covid 19 alla guerra in Ucraina) che rendono difficile fare una pianificazione delle risorse a medio e lungo termine, soprattutto a fronte di una legislazione fortemente improntata alla salvaguardia del posto di lavoro e con tempi della giustizia – in caso di contenzioso – estremamente lunghi.

    Non desta stupore che in una situazione simile le aziende preferiscano assumere a tempo determinato. Ma questo non consente una strategia e progettualità di lungo periodo.

    Un intervento a livello legislativo e politico che dia un forte segnale è un elemento chiave per mettere sul tavolo delle soluzioni concrete. Ma in assenza di tali azioni da parte del parlamento, cosa possono fare le risorse umane per arginare il problema legato ad attirare e trattenere i talenti?

    Si tratta di approcciare il problema come un cambiamento culturale che deve essere gestito come un’iniziativa di cambiamento. Soluzioni “cerotto” (e.g. bonus una tantum, temporanea riduzione delle tasse per i cervelli in fuga di ritorno in Italia) non sono idonee a risolvere il problema strutturale e culturale. Infatti si limitano solo a tamponare una situazione ormai sistemica.

    Come si gestisce un cambiamento culturale in azienda? La metodologia Prosci offre una mappa strutturata e al contempo flessibile e personalizzabile per poter gestire il cambiamento di “come facciamo le cose qui, in questa azienda”.  Per ulteriori informazioni sulla metodologia clicca qui.

    La gestione del cambiamento aziendale è  un punto di partenza importante per ottenere un vantaggio competitivo in un mercato che fatica ad attirare e trattenere risorse di valore. A livello di sistema occorre che venga coadiuvato da una serie di azioni concrete che vadano a correggere le significative distorsioni del mercato del lavoro italiano, delle quali abbiamo parlato in apertura di questo blog. E' necessario che il governo riduca il cuneo fiscale (troppo elevato) e modernizzi una legislazione ormai incapace di supportare la fluidità del mercato del lavoro e il tramonto del posto fisso a vita.

    Nel frattempo, prima che queste misure vengano adottate - al momento non sembrano esserci indicazioni nel dibattito politico di un'effettiva volontà di intervenire in questo senso - le aziende non possono rimanere a guardare. Devono agire e investire su talenti e skill che in Italia esistono, ma che per mancanza di valorizzazione spesso vengono spesi all’estero.

    Se non si investe sulla meritocrazia, sull'ottimizzazione delle risorse e delle competenze che vanno remunerate adeguatamente, il divario tra la competitività degli altri paesi europei quali Germania, Francia e l’Italia continuerà ad aumentare e diventerà sempre più difficoltoso cambiare la rotta di quello che solo in apparenza e' il fenomeno delle grandi dimissioni e che in realtà denota un malessere e problematiche ben più radicate.

     

     

    Topics: Business Transformation, Prosci training, Employee Engagement, Managing Change, HR, Grandi dimissioni